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Un'incursione nel territorio infido della letteratura carnevalesca, condotta sulle orme dello studioso americano Charles S. Singleton, porta alla riscoperta dei canti di Alfonso de' Pazzi, risalenti alla metà del Cinquecento. In essi, piccanti allusioni oscene si intrecciano a riferimenti a luoghi, personaggi e mestieri, fornendo un quadro composito, e a tratti spassoso, della Firenze dell'epoca. Completano l'opera due ampi studi, sul canto carnascialesco e sulla figura storica di Alfonso de' Pazzi.